Con il termine moxibustione si intende l’applicazione più o meno prolungata di calore su specifici punti del corpo, in corrispondenza dei meridiani e dei punti di pressione (tsubo). La moxibustione è, come le altre pratiche della medicina cinese, di antichissima origine e di essa si parla già in un libro di seta, rinvenuto presso le tombe di Mawangdui appartenute alla famiglia Li Zang, risalente al II–I secolo a.C. In seguito moltissime altre pubblicazioni magnificarono le potenzialità della moxibustione, sostenendo soprattutto che la agisce maggiormente nelle fasi croniche delle malattie o qualora altri trattamenti abbiano fallito.
Si applica in abbinamento allo Shiatsu oppureo come tecnica singola.
Nel 2010 è divenuta, insieme all’agopuntura, Patrimonio Culturale dell’Umanità.
È una tecnica cinese, di origine tibetana, nonostante il nome sia giapponese: Moe Kusa, che significa “erba che brucia”.
L’erba che brucia è l’artemisia o assenzio selvatico (Artemisia vulgaris). Si coglie al solstizio d’estate dopo che il sole l’ha imbevuta dei suoi raggi. Una volta seccatesi, le foglie vengono triturate in un mortaio fino a ottenere un impasto lanoso per uso esterno.
STRUMENTI UTILIZZATI
Con l’impasto lanugginoso si possono formare delle palline, dei coni o, avvolgendolo in carta di gelso, dei sigari lunghi fino a 20 cm.
Queste forme si appoggiano sulla pelle in corrispondenza dei punti di digitopressione, si accendono all’estremità superiore e si lasciano bruciare.
Nel caso si usi moxa non confezionata si utilizza la tecnica diretta. I coni o le palline vengono appoggiate direttamente alla cute del ricevente o sopra sostanze di vario tipo (ad esempio una fettina di aglio o zenzero). Esistono poi coni confezionati appoggiati su un supporto adesivo per farli aderire meglio alla pelle.
Quando il cono è stato opportunamente formato, se ne accende la sommità e lo si lascia bruciare, permettendo al calore generato di penetrare attraverso gli tsubo e i meridiani.
Nel caso, invece, si utilizzi la moxa confezionata in sigari, si applica la tecnica indiretta. Il sigaro viene acceso e viene avvicinato al punto da trattare per ottenere un riscaldamento per convezione o trasmissione. La pratica può avvenire mantenendo fermo il sigaro in prossimità del punto prescelto, o effettuando dei movimenti circolatori o a becchettio sul medesimo punto.
Infine esiste la possibilità di praticare la moxibustione impiegando contenitori per alloggiare frammenti di moxa. Questi contenitori detti moxatori, sono a forma di cofanetto con il fondo provvisto di rete metallica fine e di coperchio per inserire la moxa. In genere sono di legno, ma ne esistono anche di metallici. All’interno, vengono posti, al centro della reticella, uno o due frammenti di moxa grandi che vengono poi accesi e lasciati bruciare lentamente a coperchio chiuso.
COSA CURA?
Il calore della moxa è molto penetrante, piacevole, efficace nel migliorare le difese immunitarie, la cattiva circolazione, i disturbi da freddo – umido e carenza di energia.
Generalmente è indicata per:
– disturbi aggravati dall’umidità e dal freddo come artrosi, reumatismi, cervicalgia, sciatalgia, lombalgia e dolori alle articolazioni;
– cause traumatiche, contratture muscolari, colpo della strega, colpo di frusta, torcicollo, muscoli e ossa, epicondiliti, tendiniti;
– attivare le proprietà degli tsubo o agopunti, in particolar modo nei casi di arti freddi, diarrea, stitichezza, digestione difficile, astenia, emorroidi, problemi polmonari e respiratori (ad esempio asma);
– problemi cronici che si sedimentano, metabolismo lento;
– durante la gravidanza è uno strumento essenziale in caso di parto podalico per far girare il bambino in posizione cefalica, nonché per stimolare specifici punti che favoriscono il parto (punti da trattare solamente in prossimità o durante il parto)
– a scopo preventivo: per mantenersi in salute in particolar modo nell’anziano;
– pronto intervento: crampi, storte, odontalgie, punture d’insetto.
È sconsigliata per individui con temperature corporee molto alte o con ipertensioni arteriose. Dovrebbero evitarla anche le donne durante il ciclo mestruale e i bambini sotto i dieci anni d’età.
LA PIANTA
Artemisia vulgaris L. è il nome scientifico della pianta arbustiva utilizzata nella moxibustione. Conosciuta anche come artemisia comune, assenzio cinese o semplicemente moxa, questa pianta, appartenente alla famiglia delle Asteracee, proviene dalle zone più temperate di Europa, Asia e Nord Africa, ma oramai è reperibile anche in Nord America.
Secondo Plinio il suo nome deriva da Artemide e secondo la leggenda si narra che Artemide abbia donato la pianta alle donne per aiutarle nelle malattie femminili. Secondo altri studiosi il nome deriva da artemés che significa sano o artemìa che significa buona salute.
Secondo altri autori il nome sembra derivi Artemisia, sposa di re Mausolo (a sua volta celebre per il termine “mausoleo”, relativo all’enorme costruzione eretta per contenere le sue spoglie mortali), regina della Caria.
Nel IX secolo veniva chiamata “herbarum mater” poiché favoriva i parti, curava le disfunzioni mestruali e funzionava come antidoto contro ogni veleno.
Gli Antichi Romani erano soliti portare sul capo o addosso l’artemisia per proteggersi dagli spiriti e dagli influssi maligni. Anche i Druidi le attribuivano proprietà di protezione contro i veleni ed il maligno.
Una leggenda cristiana narra che questa pianta sia germogliata lungo il sentiero percorso dal serpente per ostacolarlo nel suo cammino verso Eva. L’artemisia divenne così la pianta per la protezione dei viaggi e del cammino dell’uomo, in senso fisico e spirituale, e per questo motivo un tempo sulle porte delle carrozze, veniva dipinta la pianta come buon auspicio per un felice viaggio. I viandanti erano soliti portarsi in tasca un rametto di artemisia per non sentire la stanchezza del cammino.
Anticamente, per preservare la carta dalle tarme, si mescolava il succo di artemisia all’inchiostro.
Viene chiamata “l’erba dell’oblio” poiché secondo una leggenda ucraina, una fanciulla in cerca di funghi, cadde in una buca piena di serpenti, dove conobbe la regina dalle corna d’oro. Essendo riuscita a sopravvivere per tutto l’inverno imitando i serpenti, la regina per premiarla prima di farla uscire dalla buca, le donò la facoltà di comprendere il linguaggio delle erbe e di conoscere le loro proprietà a patto però di non nominare mai l’artemisia. Col passare del tempo la fanciulla si scordò di questo patto e non appena nominò la parola artemisia, dimenticò istantaneamente tutto ciò che sapeva.
Nella medicina popolare, in caso di disturbi del sonno, si era soliti mescolare all’imbottitura del cuscino alcune foglie di questa pianta.
In Oriente con l’artemisia vengono confezionate tigri in miniatura da appendere fuori dalla porta per allontanare gli spiriti malvagi.
Caratteristiche dell’Artemisia vulgaris
Per la medicina popolare, questa pianta possiede svariate proprietà medicamentose.
Tra queste, sono da annoverare quelle antisettiche, antispasmodiche, carminative, diaforetiche, espettoranti, eupeptiche, amarotoniche e antidiabetiche. Le foglie vengono spesso inserite nelle pietanze come condimento per cibi difficilmente digeribili.
È controindicata durante la gravidanza.
Viene impiegata in liquoreria come amaro. Il suo estratto è un ottimo insetticida contro gli scarafaggi, innocuo per l’uomo. L’essenza della radice, di consistenza gelatinoso-burrosa e dal colore giallo-verde, è prima bruciante e poi refrigerante.
Viene denominata anche “canapuccia” in quanto dona un filo che può essere tessuto.
Rende amaro il latte e la carne delle vacche che se ne cibano.
Perché proprio l’Artemisia nella moxa?
Un’altra peculiarità di questa pianta è quella di irradiare, quando brucia, una temperatura di circa 500/600 gradi, terapeuticamente molto efficace. Il calore irradiato dalla pianta non fa altro che ripristinare il flusso ordinario dell’energia e del sangue nel corpo, ristabilendone l’equilibrio.